Pietre d'inciampo Milano - Biografia

Francesco Moschettini

Francesco Moschettini


Nato il 21/11/1914 a Ginosa (TA)
Arrestato a Milano il 21/09/1944
Morto a Gusen il 24/01/1945

Motivo dell'arresto: persecuzione politica


Anno di posa della pietra: 2019
Detenzione: Monza, S. Vittore
Deportazione: Bolzano, Mauthausen, Gusen
Trasporto: 104 (partito da Bolzano il 20/11/1944, arrivato a Mauthausen il 21/11/1944)

Pietra in Via Mario Giuriati, 17
Richiesta da Vittorio Belloni

Francesco Moschettini, laureatosi in ingegneria, dopo aver combattuto come ufficiale di complemento aderisce alla Resistenza nelle file di Giustizia e Libertà e mette a frutto le sue competenze soprattutto nella trasmissione di informazioni al servizio degli alleati, ma molto più variegato è il suo contributo alla Lotta di liberazione.

“Ora inizia una nuova era. Come affronterà Badoglio i complessi problemi che affronta? La sua fedeltà al re incapace ed inetto spaventa. Perché questo piccolo re non ha seguito le sorte del suo primo ministro? Domani la storia gli chiederà conto delle misure da quegli create e da lui avvallata. E la storia di domani dovrà essere opera nostra.”
Francesco Moschettini, 26 luglio 1943

Lettera del 20 luglio 1945 del Comandante dei Servizi segreti americani alla madre di Francesco Moschettini in cui loda il grande aiuto che egli ha dato alle armate alleate, Archivio privato Vittorio Belloni

La giovinezza e il servizio nell’esercito.

Francesco Moschettini nacque a Ginosa in provincia di Taranto il 21 novembre 1914 da Achille e Maria Riccardi. Il padre morì nel 1916 durante la Prima guerra mondiale; dopo la fine del conflitto la madre si trasferì a Milano con i figli Francesco e Renata. Francesco conseguì la maturità classica e si iscrisse alla facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano dove si laureò in ingegneria industriale nel luglio del 1937 con una tesi dal titolo “Centrale elettrica sotterranea comandata a distanza”. Il primo agosto entrò a far parte della Marina italiana prima come guardiamarina di complemento e poi come sottotenente di vascello; allo scoppio della guerra combatté varie battaglie, fra cui quella di punta Stilo e quella di capo Teulada. Dal settembre del 1941 fu in servizio a Pola dove diventò istruttore telemetrista della scuola navale. In questo periodo scrisse alcune lettere ad un amico da cui emerge tutta la sua sofferenza per la mancanza di azione: “Ed il giorno passa così rapidissimo - scriveva il 10 aprile 1943 - con i giorni passano i mesi, passano gli anni. Gli anni. [...] Non senti tu questa voglia violenta, pazza, di dare da te qualcosa che sappia di te, che sia un po’ di te stesso? Non senti la prepotenza di questa vita che urge entro di noi e che vorrebbe che noi fossimo qui, quali ci eravamo formati, non altri, non altro, costretti da altri?”. La caduta di Mussolini sembrò offrire finalmente una possibilità concreta di azione; il 26 luglio Moschettini scriveva: "È giunta l’ora, l’uomo che con la sua pazza ambizione ha gettato l’Italia nella sua più completa rovina morale, intellettuale, economica completandone lo sfacelo con una guerra assurda è scomparso dalla scena politica. Questa è l’ora attesa. Attesa per anni e per anni nella visione tristissima di un paese che sempre più si intristiva nel suo spirito e nei suoi mezzi che a passo scandito si avviava alla più folle impresa costituita di ambizioni, di egoismi, di propagande assurde”. E il 2 agosto del 1943: "Oggi questo popolo ha riavuto la sua libertà. - Ma la libertà come dono piovuta dal cielo, attraverso un breve annuncio di radio, non perché conquistata con la sofferenza della lotta, il sacrificio se non di pochi. Pertanto. - (sic) perché l’Italia possa rinascere a popolo vivo occorre che esso si guadagni domani questa libertà, che oggi ha da altri avuto. [...] E, come ogni religione, si tempra ed acquista sostanza attraverso milioni e milioni di martiri, così l’Italia dovrà avere milioni di martiri per la propria libertà, quei milioni che ieri per basso egoismo non ha saputo dare da sè.- (...)[1]

La partecipazione alla lotta di Liberazione

Dopo l’8 settembre Moschettini si arruolò come ufficiale volontario dei Corpo nazionale dei Vigili del fuoco ed entrò in servizio a Pola; il 7 marzo 1944 venne trasferito a Milano dove divenne un punto di riferimento per tutto il Corpo milanese. Nella relazione di servizio militare e civile compilata dai Vigili del fuoco dopo la fine della guerra si legge: “La di lui attività partigiana in seno al Comitato Volontari della Libertà fu multiforme ed intensa: alle dirette dipendenze del professor Ferruccio Parri, vice comandante del C.V.L, fu l’organizzatore e il coordinatore dell’azione dei Vigili del Fuoco in favore della lotta di Liberazione; collaboratore del dottor Enzo Boeri per l’organizzazione del servizio radio nel quale egli diede l’apporto prezioso della sua competenza in campo tecnico ed organizzativo; si occupò pure del servizio del rifornimento delle armi alle formazioni partigiane”[2]

Enzo Boeri era responsabile del servizio informazioni del Corpo volontari della libertà, strettamente collegato ai servizi segreti americani e aveva strutturato una capillare rete di raccolta e circolazione di notizie; Moschettini mise a frutto le sue competenze da ingegnere e le strutture di cui disponevano i Vigili del fuoco piazzando le antenne su ciminiere ed altre strutture mediante l’uso delle autoscale. In questo modo l’attività di Boeri ampliò notevolmente il flusso di informazioni rendendo possibile la pubblicazione regolare di Bollettini sull’azione dei partigiani. Uno strumento fondamentale per avere un quadro praticamente quotidiano di cosa stava avvenendo: perdite e avanzate, attentati, successi e insuccessi della lotta partigiana.

Molte altre furono le sue attività, grazie anche alla stretta collaborazione con don Armando Lazzaroni, cappellano volontario dei Vigili del fuoco: insieme organizzarono molte fughe utilizzando i mezzi dei Vigili del fuoco che destavano meno sospetti: “si organizza l’espatrio in Svizzera di numerose famiglie ebraiche di prigionieri alleati, di personalità politiche perseguitate e ricercate o evase dalle carceri e di giovani renitenti alla leva, emessa dal comando militari in alta italia. Il nostro lavoro specifico in detto periodo consiste nel prendere in consegna i militari o i civili perseguitati e organizzare la fuga in Svizzera accompagnandoli alla frontiera, servendosi dei contrabbandieri prezzolati. Furono così portati a termine, con buon esito, centinaia di passaggi, ci si serva del cibo, degli automezzi del corpo dei vigili del fuoco con tacito consenso del comandante”.  Lazzaroni ricorda ancora che Moschettini non si tirava mai indietro, come quando, sempre con l’auto dei Vigili, si mise alla ricerca di un prigioniero inglese fuggito in preda alla follia e “dopo molte ricerche si riusciva a rintracciarlo nelle vicinanze del Campo di aviazione di Bresso”[3].

L’arresto e la deportazione

Il 21 settembre 1944 Moschettini venne arrestato in piazza Piemonte a Milano dalle SS tedesche, probabilmente per una delazione. Fu detenuto prima nel carcere di Monza e poi a San Vittore; da qui riuscì a far giungere un biglietto a don Lazzaroni consigliandogli di scappare perché i nazisti erano sulle sue tracce[4]. Don Lazzaroni si era intanto adoperato per raccogliere una somma cospicua per ottenere la liberazione di Moschettini, ma il tentativo fu vano.  L’11 novembre egli venne trasferito al Durchgangslager di Bolzano. Ada Buffulini, anche lei detenuta a Bolzano e attiva nella resistenza clandestina del campo, scriveva a Lelio Basso il 20 novembre 1944: “Per Moschettini ti prego di avvertire la signora Maria Moschettini, oppure Renata Belloni, entrambe abitanti in via Mario Giuriati 17. Di’ loro che era ben coperto, aveva denaro e roba e il morale era ottimo”[5]. Proprio in quei giorni la madre di Moschettini si rivolgeva ai Vigili del fuoco perché chiedessero a Teodor Savecke, capo della Gestapo di stanza all'Hotel Regina, l'autorizzazione a mandare al proprio figlio indumenti pesanti “dato che l’Ing. Moschettini al momento dell’arresto (21 settembre) indossava ancora vestiti leggeri”[6]

Ada Buffulini in quella stessa lettera che era stata scritta il giorno della partenza del convoglio per Mauthausen aggiungeva: “Moschettini mi ha lasciato un fondo notevole per l’assistenza al campo e questo fondo mi ha accreditato presso il C(omitato) d.l.(iberazione) interno, che ora si chiama “commissione per l'assistenza al campo”, assai più delle deleghe e di tutto il mio operato fino ad ora”[7]

Il 20 novembre, con il trasposto 104, Moschettini venne deportato a Mauthausen dove arrivò il giorno successivo e venne registrato con il numero 110339. Venne poi trasferito nel sottocampo di Gusen dove morì il 25 gennaio del 1945.

Dopo la guerra Don Armando Lazzaroni fece affannose ricerche per avere notizie dell’amico; raccolse varie testimonianze che concordavano sul fatto che egli si fosse gravemente ammalato e fosse stato portato nel sanatorio dal quale non era più uscito. Il 22 agosto 1945 il pittore Aldo Carpi, deportato a Gusen e rientrato in Italia da poco,  scriveva alla signora Moschettini: “Gentile signora perdoni se ho tardato a rispondere nonostante la gravità della cosa ch’ella mi chiede, Mi sono spostato diverse volte e poi la nostra forza motrice di reduci non è ancora attivissima (...) mi ricordo perfettamente dell’ingegner Moschettini il quale era degente al Revier di Gusen al blocco 27 di chirurgia, era molto ammalato, molto depresso con 39-40 di febbre. Doveva naturalmente aver avuto una forma chirugica, un accesso alle gambe, perché sulla parte superiore dell’addome non aveva fasciatura alcuna ma era sopravvenuta una forma polmonare e non ne sono certissimo ma ne ho l’impressione un po’ di dissenteria”[8]. Queste sono le notizie più dettagliate che giunsero alla madre.

Il 2 agosto 1943 Moschettini riflettendo sulla mancanza di spirito di iniziativa degli italiani scriveva: “mi auguro che questa guerra duri sino alla fine per il riscatto delle colpe commesse e sopportate e dell’onore della Nazione; che dopo tale guerra le opposte fazioni scendano l’una contro l’altra nelle vie, perché attraverso il sangue di milioni di martiri, maturi un sentimento nuovo, vero e sentito e vivo, che , attraverso il disordine più folle porti domani il nostro popolo ad una cosciente ordinata unità, sostanziata dalla libertà nuova, poi ricostruiremo noi”[9] Francesco Moschettini aveva tenuto fede al suo augurio, ma non aveva potuto prendere parte alla ricostruzione.
Alessandra Minerbi

Archivi consultati:
  • Archivio Istituto nazionale Parri, Milano
  • Archivio privato Vittorio Belloni, Milano
  • Archivio diocesi di Milano, Milano
  • Archivio storico Vigili del Fuoco, Milano

Note:

[1] Tutte le lettere provengono dall’Archivio privato di Vittorio Belloni

[2] Stato di servizio militare e civile senza data, Archivio storico Vigili del Fuoco di Milano

[3] Relazione di don Lazzaroni, Archivio diocesi di Milano, fondo Resistenza, f. don Lazzaroni

[4] Ivi

[5] A.Buffulini, Quel tempo terribile magnifico. Lettere clandestine da San Vittore e dal Lager di Bolzano e altri scritti, Mimesis, Fano, 2015, p. 236

[6] Lettera a Theodor Saevecke del 20 novembre 1944, Archivio privato Vittorio Belloni

[7] Ivi pp. 236-237

[8] Lettera di Aldo Carpi a Maria Belloni del 22 agosto 1945, Archivio privato Vittorio Belloni

[9] Archivio privato Vittorio Belloni




Documenti
Dopo la fine della guerra don Armando Larrazoni raccoglie informazioni sulla sorte di Francesco Moschettini, Archivio storico Vigili del fuoco, Milano
Stato di Servizio di Francesco Moschettini, Archivio storico Vigili del fuoco, Milano
Lettera del 22 novembre 1944 dei Vigili del Fuoco di Milano che chiedono al Teodor Saevecke, capo della Gestapo a Milano, in cui gli si chiede di consegnare a Francesco Moschettini vestiti pesanti, Archivio privato Vittorio Belloni